Skip to main content

Il vero impostore crea malcontento se non dimostra di meritarsi il posto che occupa

Ti è mai capitato di trovare un capo che non ha né le competenze tecniche, né l’esperienza adeguata per ricoprire la posizione che occupa? Ricopre magari una posizione che sarebbe spettata ad altri, ma grazie ad amicizie, manipolazioni e sotterfugi, o forse solo per aver gestito bene la relazione con i vertici, si ritrova lì, dove tutti pensano che non dovrebbe essere.

Potremmo chiamarlo il vero impostore: ha saputo muoversi bene, persuadere e magari anche manipolare, farsi percepire da chi ha potere di scegliere, migliore di come davvero è oppure ha accettato biechi compromessi a cui altri, più competenti e meritevoli, non sono scesi.

Chi è il vero impostore

Nella maggior parte dei casi il vero impostore non ammetterà mai le sue incompetenze, perché talvolta non ne è nemmeno consapevole:  si sente in gamba e realizzato per aver ottenuto quello che desiderava. Tuttavia spesso si sente minacciato da chi è competente ed esperto e, invece di valorizzare tale risorsa, cercando di fare squadra, tende ad escluderla e a darle poca autonomia.

Ha bisogno di avere intorno a sé qualcuno molto meno competente di lui e poco ambizioso, dal carattere dimesso o servizievole, per avere conferma del suo valore. Cerca yes man che lo compiacciano: non ama i veri confronti, non ne coglie l’aspetto creativo e costruttivo, ma li vive sempre come una minaccia, una critica al suo operato, piuttosto che un modo per condividere idee e trovare insieme soluzioni.

Non è empatico, ma ascolta, fa e dice solo ciò che gli può recare un vantaggio, non prende in considerazione l’aspetto emotivo e relazionale delle persone perché fa fatica ad entrare in connessione con le sue stesse emozioni.

Leadership e team: i grossi ostacoli per il vero impostore

Il vero impostore si mette sempre al centro e in mostra, parla al singolare (io, io, io) invece che al plurale, facendo sentire i suoi collaboratori delle marionette nelle sue mani. Nella sua mente non esiste una squadra, un gruppo di lavoro: esiste solo lui che raccoglie i successi degli altri. Limita al massimo la comunicazione tra i suoi migliori collaboratori e le altre funzioni o aree aziendali, specialmente con i capi, perché teme che qualcuno possa apprezzare qualche suo collaboratore più di lui stesso, fare confronti o relazionarsi più volentieri con lui.

Se veramente è in un ruolo che non gli spetta, il vero impostore non è propositivo: non ha idee innovative, non riesce a risolvere i problemi con fluidità, non anticipa le criticità, proprio perché non ne ha le competenze per farlo; in questo caso si appropria del lavoro del team o di alcuni dei suoi membri e lo presenta come suo, convincendo se stesso che è questo che fa un capo.

La continua ricerca di riconoscimento individuale e di conferme, che emanano da un’insicurezza molto ben nascosta, impedisce al vero impostore di essere un capo stimato e questa mancanza di leadership diminuirà la disponibilità, la motivazione e la produttività dei collaboratori, che non si sentiranno valorizzati.

Molto spesso questo tipo di persona ha grandi difficoltà a mettersi in discussione. È probabile che nel momento in cui non si sente sostenuto dal team, aumenti la sua distanza dal gruppo:  adotta atteggiamenti eccessivamente impositivi, imposta relazioni di tipo top-down, sottolineando il suo ruolo gerarchico. Questo atteggiamento può essere adottato con l’intero gruppo di lavoro, oppure solo nei confronti di una o poche persone che hanno delle qualità o delle competenze nelle quali lui si sente manchevole. Invece di essere grato di avere nel gruppo qualcuno che compensa un suo punto di debolezza e cogliere l’occasione di imparare cose nuove da un suo collaboratore, si sente minacciato: mette quindi in atto atteggiamenti di svalutazione o esclusione che danneggiano gli interessati, sia a livello psico-emotivo che professionale.

Comunicazione: la chiave per collaborare con un vero impostore

Il vero impostore ha avuto la fortuna di trovarsi in una posizione vantaggiosa, pur non avendone le competenze adatte; ma se adottasse un atteggiamento di apprendimento da una parte e di collaborazione e squadra dall’altra, potrebbe ottenere molto di più dai suoi collaboratori: valorizzando le competenze di tutti coloro che gestisce, potrebbe migliorare la relazione con loro e con se stesso.

Non sempre per essere un ottimo capo bisogna sapere di più. In alcuni team sono più necessarie doti di comunicazione, collaborazione e motivazione.

Share:

Barbara Bonetti

Barbara Bonetti, Coach strategico per vita privata e professionale, insegnante di Yoga Kundalini. Life Alignment practioner. Laureata in economia, cercatrice di significati e di felicità. Mamma. Creatrice del metodo BBU e ideatrice della filosofia BBU Evolution.
Follow: